Train the trainers, l'esperienza KAIZEN™ in Coca Cola

Train the trainers, l'esperienza KAIZEN™ in Coca Cola

Sviluppare un training per esperti, ad alto impatto. Bruno Fabiano, cofounder di Kaizen Institute Italia, ci racconta la sua esperienza in Canada per l’annuale meeting di approfondimento e aggiornamento che vede riuniti i rappresentanti KAIZEN™ dai cinque continenti.

Luglio 2016, siamo in Canada, per il nostro meeting annuale di Kaizen Institute. Alle 8:30 del mattino, ci ritroviamo nella lobby di un hotel di Calgary, in partenza per lo stabilimento Coca Cola. Oggi l'obiettivo è chiaro: 40 esperti KAIZEN™ provenienti da più di 30 nazioni sono riuniti in questo evento per identificare il potenziale di miglioramento di un plant già eccellente. Un train the trainer per aumentare le skill di diagnosi in un contesto industriale complesso.

All'arrivo ci dividiamo in 3 gruppi, abbiamo 3 ore di tempo e 3 manager Coca Cola per riferimento. Nella sala riunioni campeggia una gigantografia di una fortunata campagna pubblicitaria, mentre production manager e plant manager ci danno le indicazioni di rito per la sicurezza. Ci dividiamo in tre gruppi e prendiamo tre direzioni diverse con i rispettivi manager:

  • linee di riempimento (il cuore dello stabilimento: packaging, etichette, chiusura, riempimento, sala sciroppi);
  • logistica e flussi;
  • sistema di miglioramento continuo.

Nel gruppo “linee” ci avviamo sul Gemba e subito si forma un capannello attorno ad una postazione sulla linea delle famose lattine: c'è uno stop della linea e iniziamo ad osservarne la durata, la frequenza e come le persone gestiscono la fermata. Osserviamo attentamente come viene registrato e se c'è una escalation del problema. Da questi dati qualcuno inizia a calcolare un potenziale benefit.

Parte una discussione sulla natura della fermata o microfermata: se è inferiore a 10 minuti la si considera microfermata, di solito è risolta dall’operatore, ma per eliminarle probabilmente occorre fare un vero e proprio cantiere “zero microfermate” coinvolgendo anche manutenzione e tecnici. Risaliamo lungo la linea di produzione e diventa evidente che su queste linee ad alta velocità il miglioramento deve essere focalizzato sul collo di bottiglia che può variare a seconda del prodotto che scorre in linea, inoltre ogni fermata produce anche una quantità di scarto correlato alla velocità. In tutte le osservazioni stiamo individuando miglioramenti in un ambiente già allo stato dell’arte. Questa è la nostra learning curve.

Il gruppo logistica si sofferma in magazzino dove circa 500 SKU (stock-keeping unit) sono prelevate e consolidate in scatole o pallet per essere spedite ai clienti. Le squadre sono composte da una decina di “pickers” per turno, ovvero operatori che scorrono tra le corsie su dei muletti per comporre gli ordini da spedire. Ricordiamoci che i clienti possono saziare dai supermercati fino a hotel, bar e ristoranti (HORECA), quindi gli ordini sono molto diversi: infatti anche il magazzino è organizzato con flussi specifici per famiglie di ordini grandi/piccoli e ripetitivi/singoli. Un paio di consulenti si staccano dal gruppo e si concentrano sul percorso di un singolo picker seguendolo ed iniziando ad identificare cosa è valore e cosa è muda, passo dopo passo. Iniziano a fiorire le idee per migliorare il picking ed una stima del potenziale di miglioramento.

"Go to gemba and have a good look" sono le parole di Masaaki Imai: la ricetta semplice per capire cosa fare in una realtà complessa come questa.

Ritornati nella sala principale ringraziamo gli accompagnatori ed iniziamo la sessione di debriefing raccogliendo tutte le osservazioni con le osservazioni del terzo team, quello focalizzato sul sistema di supporto al miglioramento continuo. I potenziali di miglioramento che abbiamo individuato sono legati all’aumento dell'efficienza delle linee, alla riduzione di scarti (fra l’altro in questo contesto si riduce il costo di trasformazione dello stabilimento, rendendo possibili aumenti di produzione “dirottata” sul plant). Post it alla mano, mettiamo in fila il piano di azione:

  • KAIZEN™ Projects:  i “progetti” ovvero i cantieri Gemba KAIZEN™ pianificabili per un ciclo di 6 mesi. Portano risultati su fermate, guasti, cambi produzione, scarti, eccetera;
  • Daily Kaizen: da realizzare sviluppando i "team naturali” ovvero le squadre di linea. Consolida i miglioramenti raggiunti con i cantieri ed aggiunge il miglioramento quotidiano: microfilmate, scarti, eccetera;
  • Leaders Kaizen: anche in questo stadio di maturità occorre mantenere vivo il percorso di sviluppo del management per fargli intravedere il “next level” da raggiungere. Ma come coinvolgere un management già competente in termini di miglioramento continuo? Learning by doing. In questo caso  attraverso un veloce value stream design, che è solo uno stratagemma per riportarli sul gemba a guardare con occhi nuovi quello che già conoscono bene e collegarlo ai potenziali savings. «Nulla di nuovo sotto il cielo, tranne il dimenticato»;
  • Support Kaizen: a questo punto è chiaro anche la evoluzione che deve fare il sistema di supporto per cogliere quegli obiettivi di miglioramento attraverso i cantieri ed il daily Kaizen;
  • Expert Training: occorre pianificare la creazione di nuovi esperti delle tecniche più efficaci: problem solving, SMED, Manutenzione autonoma. Ovviamente si tratta di un train the trainers;
  • Condividere le best practice, con eventi pianificati dall'HR di plant che mantengano elevata la motivazione;
  • Sviluppare KAIZEN™ coach interni per sviluppare il daily Kaizen. Per dare efficacia a questo percorso si allenano direttamente i leader di linea come trainers interni con un percorso a tappe per sviluppare in autonomia il continuous improvement nelle squadre operative;
  • Stabilire un sistema di pianificazione visuale, di solito in una stanza (Obeya room) che parte con la definizione della visione dello stabilimento, fa il deployment a livello di reparto linea e continua con gli audit periodici. tutto visibile e trasparente.

Pronti per la presentazione al management. Nel vedere l'energia e la determinazione di questo gruppo di esperti nel continuare ad imparare mi torna in mente una frase di Daniele Cassandro, quando dice che «Lifelong learning non vuol dire restare alunno fino a cinquant’anni, ma imparare a coltivarsi, giorno dopo giorno. Divertendosi».

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