Industria 4.0, nella cartiera di Don Bosco la vera rivoluzione industriale è la voglia di migliorare delle persone

Industria 4.0, nella cartiera di Don Bosco la vera rivoluzione industriale è la voglia di migliorare delle persone

È come fare un tuffo nel passato. Siamo a Mathi, nel Canavese, e stiamo parlando di un vecchio edificio immerso in una cartiera. Quella che è stata, a fine Ottocento, la casa di un santo: Don Giovanni Bosco. Perché la storia della cartiera di proprietà della Ahlstrom-Munksjo, multinazionale finlandese, è tutto tranne che comune. L’anno è il 1877: la vedova del fondatore, Michele Antonio Varetto, vende per 100 lire l’azienda al fondatore dei salesiani. E sì, c’è ancora la casa di Don Bosco nella cartiera. Un qualcosa di ancor più bello se si considera che tutto attorno c’è una fabbrica moderna, grandi impianti a ciclo continuo e spazi enormi, e in mezzo questa vecchia e rudimentale casetta che è rimasta intatta e uguale a com’era duecento anni fa.

In fondo fu proprio Don Bosco a compiere la prima rivoluzione: fu lui ad acquistare in Svizzera una macchina moderna e passare, di fatto, dalla pioneristica fase artigianale a quella industriale. Di strada poi se ne è fatta tanta: l’attuale proprietà, dal 1963 a Mathi, occupa 500 dipendenti e produce 150mila tonnellate di carta da etichette o per filtri automobilistici. Ma l’attitudine rimane la stessa: migliorarsi sempre. Ed è per questo che la collaborazione con i professionisti del Kaizen Institute Italia, iniziata già in Ahlstrom quando era ancora distinta da Munskjo, è diventata un fatto quasi naturale.

Ecco come La Stampa descrive l’azienda:

Oggi, in questo modernissimo polo industriale, i macchinari sono particolarmente sofisticati perché devono trasformare la materia prima (fogli di cellulosa, provenienti per lo più dal Sud America) in rotoli di carta per etichette e filtri venduti in tutto il mondo. «I passaggi sono molteplici – spiega Giorgio Mirone, Vice President della Labelling Business Area– in pratica, semplificando, diciamo che da un impasto di acqua e cellulosa passiamo ad ottenere in modo continuo i rotoli di prodotto finito». La macchina più grande del sito è la PM8, un gigante a produzione continua, lunga 180 metri e larga 4,5, la “pronipote”, potremmo dire, di quella usata ai tempi di don Bosco. Ma da qualche anno, con l’avvento del 4.0, è cambiato il modo di usarla, è mutato il modello organizzativo, soprattutto sono migliorate efficienza, produttività e qualità. Un ruolo fondamentale lo ha svolto quello che da queste parti hanno ribattezzato il “cruscotto”, un programma le cui immagini sul video del pc ricordano appunto le strumentazioni intorno al volante della nostra auto.


Il concetto di fondo esce con prepotenza: anche in piena «rivoluzione industriale», così come è definita industria 4.0 il cuore delle innovazioni si deve concentrare sul processo principale di creazione di valore per il cliente e deve abilitare i nuovi “operatori 4.0” a lavorare con maggiore efficacia e capacità di presidio del processo.

Senza il coinvolgimento delle persone, vero motore del miglioramento continuo, si ottiene solo un risultato parziale. Per questo dopo una serie di progetti, investimenti e riorganizzazioni guidate dall’alto stanno iniziando adesso le attività di “daily kaizen”

«Nel  contrasto tra le dimensioni gigantesche dei “rotoli” da quasi 5 metri e la lotta a difetti più piccoli di un millimetro si esprime la sfida per la competitività della cartiera – spiega Bruno Fabiano, founding partner di Kaizen Institute Italia –. Con grande lucidità strategica, Industria 4.0 è stata indirizzata sul miglioramento del controllo delle variabili critiche per la Qualità della carta con il famoso “cruscotto” e con alcune automazioni sulle fasi di packaging. Ma la carta resta un prodotto che ha ancora bisogno di esperienza per essere realizzato».

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