Rossimoda: KAIZEN™ e creatività nel product development

Rossimoda: KAIZEN™ e creatività nel product development

Uno dei malintesi più diffusi a proposito di KAIZEN™ è che esso sia adatto solamente alle linee di assemblaggio e ad altre situazioni rigidamente strutturate. Il cammino KAIZEN™ di un calzaturificio italiano con prodotti di fascia alta lo smentisce, dimostrando che KAIZEN™ è in grado di favorire la formazione di un ambiente nel quale le idee creative circolano più liberamente.

Rossimoda è un calzaturificio della Riviera del Brenta, con duecentosessanta dipendenti e una produzione di alta qualità. Fondata nel 1947, l’azienda ha prodotto per grandi marchi della moda mondiale, fra i quali Yves Saint-Laurent, Ungaro, Calvin Klein e Céline. Il successo di Rossimoda e di altre aziende che operano nel medesimo distretto calzaturiero si fonda sullo stretto contatto fra stilisti e strutture produttive nel quale idee creative e soluzioni pratiche interagiscono intimamente.

Nel corso degli anni l’azienda ha compiuto un riposizionamento strategico, portando il prezzo medio di riferimento di un suo paio di scarpe da centocinquanta a quattrocentocinquanta euro. Oggi tutti i principali marchi calzaturieri mondiali affidano le loro collezioni di punta proprio alle aziende del distretto del Brenta e Rossimoda è parte del gruppo LVMH.

Quando l’economia mondiale incominciò ad entrare in crisi, nella prima decade del nuovo secolo, i principali marchi presero a trasferire le loro produzioni di massa verso paesi con minori costi di manodopera. Di conseguenza, Rossimoda e altre aziende del distretto del Brenta modificarono la loro strategia per concentrarsi sul segmento calzaturiero di fascia alta, quello dove già si differenziavano dalla concorrenza di altri paesi. L’opzione di riposizionamento, per quanto felice, comportava la conversione ad una produzione per piccole quantità e un affi damento ancora maggiore al processo sempre incerto dell’innovazione di prodotto.

Per realizzare nuovi modelli nel segmento dell’alta moda occorre coniugare l’abilità di esperti artigiani con l’estro di stilisti oltremodo ambiziosi e capricciosi, che cercano continuamente di superarsi a vicenda e che spesso pretendono l’impossibile. Non è solamente questione di seguire le indicazioni dello stilista – il processo è altamente creativo e comporta occhio infallibile, grande comunicativa e capacità di pensare, per così dire, con l’emisfero destro del cervello. Solo così la creatività diventa effi cace. Inoltre le situazioni sono sempre nuove, e non si può mai sapere che cosa porterà il domani. Nel processo produttivo intervengono varie specializzazioni.

Lo stabilimento della Rossimoda comprende, in effetti, un certo numero di “minidistretti” specialistici: formificio, solettificio, suolificio, tacchificio, e così via. Le fasi di lavorazione sono fortemente interdipendenti, e risentono ciascuna dei problemi delle altre. Al ricevimento del disegno di un nuovo modello bisogna realizzare i prototipi e i campioni in brevissimo tempo, per rimandarli allo stilista, e così via fino all’approvazione finale.

Si distinguono tre fasi principali:

  1. nella fase di ricerca si realizza il prototipo che serve all’affinamento progressivo dell’idea creativa dello stilista. Bisogna raggiungere un compromesso fra il look che ha in mente lo stilista e i vincoli pratici della produzione. Occorre la cooperazione del product manager, che si interfaccia con lo stilista, dei tecnici strutturisti, dei modellisti e degli altri specialisti di produzione;
  2. quando lo stilista approva il prototipo, inizia la produzione dei campioni. Essa comporta il set-up preliminare e la definizione dettagliata di tutte le fasi di lavorazione. I campioni vengono presentati alla struttura retail ed ai buyer per riceverne indicazioni e ordini;
  3. le informazioni raccolte durante la fase di sviluppo servono ad organizzare la produzione, con la schedulazione di dettaglio che comprende le date di consegna concordate con i buyer.


scarpe rossimoda


In tutte queste fasi l’interazione fra stilisti e tecnici di produzione è improntata al nervosismo e alla tensione. Gli stilisti sono soliti lagnarsi per l’imprecisione dei prototipi e dei campioni, mentre i tecnici protestano per le “richieste assurde e impossibili” dei creativi. Se non si riesce a comporre in maniera soddisfacente questi contrasti, le conseguenze possibili sono due. O si mortifica la creatività dello stilista, rischiando di non incontrare il gusto della clientela, oppure si costringe la produzione a fare i salti mortali, con il rischio di compromettere la qualità del prodotto, o l’efficienza della produzione, che possono a loro volta comportare un elevato livello dei resi da clienti, o ritardi nelle consegne, o un fatturato insufficiente.


Il nuovo corso

Il management di Rossimoda aveva ben chiara l’esigenza di un nuovo mind-set che rafforzasse il processo di sviluppo creativo. L’amministratore delegato Frederic Munoz aveva già avuto esperienza di KAIZEN™ e decise di rivolgersi a Kaizen Institute Italia per un aiuto nell’iniziativa di cambiamento. Il cammino KAIZEN™ dell’azienda iniziò con la formazione dei manager e dei supervisori ai fondamenti del paradigma lean, con particolare riferimento alle tecniche di housekeeping (le 5S), di visual management e di value stream mapping. Al termine della fase preliminare di formazione venne istituito un team interfunzionale con i rappresentanti di tutte le minifabbriche.

Il primo compito del team fu quello di visualizzare l’intero processo attuale, con il value stream mapping. Ogni componente del team aveva una sua visione specialistica, per cui occorreva anzitutto creare un clima che favorisse la libera espressione delle proprie opinioni, ma anche l’ascolto di quelle di tutti gli altri componenti. A questo fine si adottò il procedimento seguente:

  1. Osservare in gruppo i processi attuali – non esprimere giudizi, ma limitarsi ad osservare.
  2. Generare idee fuori dagli schemi. Pensare, per così dire, con l’emisfero destro del cervello. Evitare gli schemi precostituiti.
  3. Selezionare la migliore idea praticabile e abbozzare un piano preliminare di implementazione.
  4. Creare un nuovo standard operativo.


Il team preparò anzitutto la mappa della fase di prototipazione che ne mise in evidenza le numerose complessità (fi g. 37.2). Per esempio l’intero team dovette salire e scendere innumerevoli volte le scale, per passare dall’ufficio prodotti alla modelleria, e all’uffi cio strutture e produzione, situati su piani diversi dell’edificio. La complicazione era notevole, in quanto i prototipi passavano dall’uno all’altro uffi cio in maniera del tutto imprevedibile (a seconda dei dubbi di questo o quel tecnico, o delle divergenze fra idiversi uffici).

Un processo così caotico era poco compatibile con l’esigenza di consegnare allo stilista il prototipo entro pochi giorni e rendeva persino difficile capire quale fosse lo stato di avanzamento, per tenere informati i clienti. Analoghe difficoltà emersero anche dalla mappatura del processo di sviluppo. Con l’approvazione del prototipo si prendevano impegni con la committenza e da quel momento le scadenze si facevano pressanti. I product manager insistevano inutilmente per ottenere risposte alle loro domande, mentre gli operatori del gemba si affannavano a risolvere le difficoltà pratiche di produzione.


2. Ripensare il processo

Fu subito chiaro che il processo non era affatto lineare, come si era pensato fino ad allora. Non era possibile dire in che modo un certo prototipo o un certo campione avrebbe preso la sua forma finale. Lo sviluppo non seguiva tappe preordinate, ma sembrava semmai procedere a tentoni, con il prodotto che andava avanti e indietro finché non si appianavano tutte le diffi coltà e si raggiungevano i necessari compromessi. Era una specie di random walk.

Con il value stream mapping diventò chiaro che il carattere randomico del processo di sviluppo non era affatto accidentale, ma gli era intimamente connaturato. Il team doveva trovare il modo di gestirlo al meglio, senza snaturarlo. Occorreva migliorare l’interazione nel problem-solving fra le diverse unità specialistiche. Per esempio un problema con il tacco poteva generare difficoltà più a valle, in montaggio. Si doveva instaurare una comunicazione più efficace che riducesse il numero di passaggi che il prototipo o il campione dovevano subire, fra le diverse unità specialistiche.

Si arrivò così ad un salto di paradigma. Il team decise che la soluzione migliore era quella di riunire nella medesima sala tutti gli specialisti che concorrevano allo sviluppo, affinché “respirassero la medesima aria”. Venne quindi istituito un nuovo team interfunzionale, con modellisti, orlatrici, montatori, tagliatori e addetti al finissaggio che lavorassero coralmente per realizzare “prototipi d’autore per le grandi case di moda”, parafrasando un famoso motto del fondatore. La creatività sarebbe stata preservata, riconducendola nel contempo ad una logica di gruppo.

Il nuovo team di sviluppo, formato da dieci componenti, attrezzò un ampio locale, prima adibito a sala pellami, dotandolo di tutto quanto occorreva alla produzione dei prototipi (scrivanie, postazioni tecniche, macchinari) e organizzandolo secondo i principi delle 5S e del visual management, così da renderlo un ambiente dove lo sviluppo potesse procedere senza intoppi e fossero visibili in ogni momento lo stato di avanzamento e i problemi. Il layout presentava al centro una zona nella quale gli operatori trovavano i disegni tecnici insieme agli strumenti di visual management. Alcuni problemi iniziali nella coabitazione, del tutto inusuale, fra le workstation di computer-aided design e le macchine per cucire o la scarnitrice furono rapidamente superati.

Alla prima riunione, presieduta dal direttore generale, parteciparono operatori in camicia, dirigenti in giacca e cravatta, fornitori e tecnici, tutti curiosi e qualcuno anche dubbioso. Molti pensavano che una novità così grossa fosse destinata al fallimento. La prospettiva di uno sviluppo più fluido e meno affannoso, più ricco di approvazioni che di diatribe, fece sì che i componenti del team si concentrassero rapidamente sui loro nuovi compiti.


meeting rossimoda


Si stabilirono due regole fondamentali:

  1. avere sempre un modello fisico in mano, senza limitarsi solo a parlare di una certa scarpa;
  2. non dire mai “non si può fare” – realizzare invece sempre un nuovo prototipo per testare “cosa si può fare”.


Man mano che il team prendeva confidenza con la nuova organizzazione operativa, si incominciarono ad ottenere i risultati. Con gli specialisti riuniti nel medesimo luogo, i problemi (per es. di orlatura) si risolvevano immediatamente, invece di passare alla lavorazione successiva con gli esemplari difettosi. Il product manager riusciva finalmente ad ottenere le informazioni sulle opzioni possibili, da segnalare allo stilista, e non più solamente le lagnanze da presentargli, per questa o quella richiesta di lavorazione che risultava irrealizzabile.

Un esempio riguarda una richiesta urgente per una scarpa con tacco in resina, elemento che solitamente viene prodotto per stampaggio ad iniezione. Questa tecnica però dà luogo al raggrinzimento sui lati, per il ritiro della resina che si indurisce nello stampo: il difetto è appena percettibile sul prototipo, ma diventa più evidente con la fasciatura in pelle del tacco. Il tempo a disposizione per la prototipazione era insufficiente a risolvere il problema del raggrinzimento, utilizzando la tecnica tradizionale. Il team escogitò una soluzione alternativa, compatibile con la scadenza stabilita. In una riunione di follow-up il team raffrontò il nuovo metodo con quello tradizionale:

  1. Che cosa sarebbe accaduto con il metodo tradizionale. Sarebbero stati inviati messaggi di posta elettronica per informare lo stilista delle diffi coltà, seguiti poi da un campione che presentava i raggrinzimenti. Al campione sarebbe stata allegata una relazione tecnica che illustrava le ragioni per le quali non era possibile procedere con quel modello. Benché la fabbrica non avesse colpa, la difficoltà avrebbe ostacolato gravemente l’attività dello stilista, in un periodo critico.
  2. La soluzione del team. Dopo un’accesa discussione sui metodi e sulle tecniche disponibili, il team si rese conto che con il sistema tradizionale non vi era nessuna possibilità di eseguire ciò che il cliente chiedeva. Provò quindi a modifi care il sistema e dopo qualche verifi ca decise di abbandonare la resina e di passare alla realizzazione del tacco “da pieno” mediante fresatura in balsa. Una soluzione molto distante dalle strade fi no ad allora percorse, ma funzionale a soddisfare la richiesta del cliente.


Quell’esperienza fu molto istruttiva perché fece capire che il gemba non esiste solo per costruire campioni o prototipi, ma esiste anche per concorrere attivamente a creare le collezioni di calzature. Questo ampliamento dell’orizzonte consentì agli operatori di pensare fuori dagli schemi e di proporre soluzioni innovative che sarebbero state considerate irrealizzabili, secondo i canoni tradizionali. Affrontando insieme queste situazioni, i componenti del team acquisirono sempre maggiore fiducia nelle proprie capacità di superare collettivamente le difficoltà. Il team imparò inoltre che talvolta occorrono ulteriori professionalità, o maggiori risorse in questa o quella funzione. Venne perciò ampliato il tavolo di lavoro comune, nel gemba, dotando il team “core” di una maggiore flessibilità nel gestire i picchi di domanda e nel risolvere con prontezza problematiche speciali.


3. Visual management avanzato

Trovandosi a gestire più prototipi e più campioni, il team ebbe bisogno anche di un sistema che rendesse più facile la comunicazione e diminuisse il numero di interruzioni per contatti “uno ad uno” non strettamente necessari. A questo fine il team realizzò un sistema di visual management basato su semplici grafici, esposti in uno stesso luogo, che presentano l’avanzamento di ciascun prototipo e di ciascun campione nelle singole fasi di lavorazione. Tutti i componenti del team e tutti i product manager possono aggiornarsi sulla situazione, a colpo d’occhio. Questo rende altamente visibili tutti i problemi e consente di giocare d’anticipo, con provvedimenti Plan-Do-Check-Act anch’essi elencati a margine.

Il visual management rende possibile il controllo di un processo estremamente rapido nel quale tutto deve svolgersi nell’arco di due o tre giorni, dalla richiesta di un nuovo prototipo fino alla sua consegna. Sono finiti i tempi in cui i product manager si trovavano ad aspettare nervosamente i prototipi nella speranza di poter prendere l’ultimo volo utile per non mancare all’appuntamento con lo stilista che li aveva commissionati.


4. Conclusione

L’esperienza di Rossimoda con KAIZEN™ dimostra le potenzialità dei team interfunzionali. Se le informazioni trasmesse al cliente provengono da dieci diversi gruppi nel gemba, il processo diventa molto complesso e molto difficoltoso. Se invece i dieci gruppi vengono riuniti in un unico team, sempre nel gemba, il processo diventa semplicissimo. Accordandosi su alcune regole fondamentali e istituendo un team “core” ampliabile in caso di necessità gli operatori hanno creato un gemba che oggi risponde con puntualità e favorisce il dialogo creativo. La creatività non si può suscitare girando semplicemente un interruttore, come si fa con una macchina, tuttavia KAIZEN™ può aiutare i team ad eliminare i fattori di disturbo affinché gli operatori possano dedicarsi a quello che sanno fare meglio: servire i clienti elevando ai massimi livelli qualitativi la qualtà del prodotto e puntualità ed affidabilità.



  

Questa storia è contenuta in:

Gemba Kaizen. Un approccio operativo alle strategie del miglioramento continuo

Di Masaaki Imai

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